L’America è un grande Paese, come ci ricorda quasi quotidianamente il nostro “rispettato” presidente (…). Ma l’America è anche un Paese grande, nel senso che si estende per un territorio decisamente ampio e diversamente popolato.
Ora, le popolazioni sparse qua e là per questa landa non hanno ancora elaborato un sistema organico che permetta loro di muoversi entro i suoi confini in maniera efficiente ed efficace.
Per esempio, i treni, fidati compagni di viaggio per noi altri della vecchia Europa, qui non sono da contemplare. Scordateveli. Le linee ferroviarie sono poche e mal funzionanti. Eventualmente, il treno è concepito come un viaggio di piacere, diverso da scopi utilitaristici. Se hai voglia di attraversarti l’America da costa a costa in treno, puoi farlo con un viaggio panoramico di una settimana: te la spassi. Se hai bisogno di andare, che ne so, da Ithaca a New York City (400 km di distanza) per questioni di lavoro e prediligi la strada ferrata, ti conviene cambiare business. A Ithaca, per dire, la stazione nemmeno c’è. Ci passa un unico binario malconcio sul quale una volta alla settimana transita un treno merci.
Con l’aereo però puoi andare potenzialmente ovunque. L’aeromobile all’americano piace, lo prende con brio. Un piccolo aeroporto si trova in quasi qualunque paesotto, ovviamente c’è anche a Ithaca! Per trasporto interno, l’aereo si prende con la disinvoltura con cui si prende il tram in Europa. Arrivi in aeroporto 15-20 minuti prima del volo, se vuoi essere cauto: sali a bordo, decolli e sbarchi. Vai sereno. Ti porti pure la tua acqua o borraccia che sia (vedi post precedente per approfondimento su H2O e dintorni). Uno sarebbe portato a pensare che, dato l’inflazionato utilizzo del trasporto via aria, l’aereo sia anche economico e le tratte siano logisticamente studiate con meticolosa attenzione. Errore. I biglietti aerei sono scandalosamente costosi. Un volo Ithaca-Atlanta, per 2 ore e qualcosa di durata e 1600 km di distanza, con 3 mesi di anticipo, vale 200 $. New York-San Francisco ti partono 400-500 $ con grande agilità, anche se accetti di farti uno scalo di 4 ore a vattelapesca in mezzo al continente e di metterci un totale di 12 ore. Tra un po’ ti conviene tornare a Milano e ripartire per San Francisco.
Ci sarebbe poi, volendo, il trasporto pubblico a scala urbana. Ecco, non lo vuoi veramente, si tratta più di un ripiego, un’alternativa scalcinata al mezzo privato. Più lo conosci e più lo eviti. Ma ci sono delle volte che ti tocca, quando non hai alternative valide o scappatoie di sorta. E allora ti metti l’anima in pace e ti imbarchi in questa impresa che le peripezie di Ulisse a confronto equivalgono a bersi un bicchiere d’acqua fresca. Qui l’acqua ti va di traverso.
Le fermate sono un miraggio, nel senso che proprio non sono segnalate, le vedi tu perché ci speri tanto. Nel peggiore dei casi, vai del tutto a sentimento. Percepisci delle vibrazioni nell’aria che ti dicono che in quell’areacircaquasi, quando gli autisti rilevano presenza umana, si fermano e ti fanno salire. Nel caso intermedio, la fermata è segnalata da un palo malcelato, di colore incerto e materiale ignoto, infisso su sopporti di diverse consistenze e fatture – può trattarsi di un pilottino temporaneo in cemento, dell’asfalto del marciapiede, tanto quanto del brullo terriccio sul ciglio della strada. Nel migliore dei casi trovi una pensilina vuota, una sorta di tettoia desolata come un pesce fuor d’acqua, che non si sa cosa ci stia a fare. Perché non è che la utilizzano per affiggerci dei pannelli informativi, magari… Avresti voglia di sapere tra quanto passa il prossimo bus? Aspetta e spera. Non c’è insegna digitale né cartacea che possa suggerirti una qualsivoglia scaletta oraria. Ti interessa solo sapere quali linee passano per quella fermata? Curiosità vana, tienitela. Non troverai indicazioni di sorta. Potresti voler conoscere la posizione di quella fermata all’interno del perimetro urbano? Niente da fare, ti geolocalizzi su google maps se hai internet, altrimenti tracci la traiettoria delle stelle mentre aspetti la prossima corsa (che tra l’altro non sai dove ti porta).
Comunque, ogni tanto, sull’autobus finisci per salirci veramente e, a quel punto, passarci mezza giornata. I percorsi sono l’opposto dell’ottimizzazione, passano tutti dalle stesse strade e, di norma, sono otto linee diverse a distanza di 1 minuto l’una dall’altra e poi niente per la prossima ora.
I biglietti non esistono, o hai la tessera studenti, oppure hai i contanti precisi (1,50 $) che spari appena salito dentro a un contenitore tipo offerte in chiesa quando vuoi accendere la candelina.
Una volta a bordo, poi, ti si squaderna il bestiario umano. Per qualche oscuro motivo lì ti si palesa l’americano nella sua vera natura, quello gigante. Tutti gli obesi che non vedi mai, perché non camminano per strada e non usano la macchina (probabilmente per motivi di dimensioni), si riuniscono felicemente sul tuo autobus. Risultato: la capienza si dimezza, l’odore di umanità raddoppia, e la tristezza della scena quadruplica. Sali e non vedi l’ora di scendere, prima che la depressione si impossessi di te per sempre.
Se vuoi chiamare la fermata, invece di pigiare il bottone rosso con su scritto STOP, qui tiri una corda gialla che corre per tutte le pareti del bus. Probabilmente questo sistema è stato elaborato per via del fatto che la concentrazione di gente abnorme impedisce una normale circolazione all’interno del veicolo, e quindi ti facilitano consentendoti di prenotare la fermata da seduto, in qualunque postazione ti sia accomodato col tuo deretano.
Ad ogni modo, finisce che il tuo sentimento nei confronti del trasporto pubblico urbano passa rapidamente e inesorabilmente da “non proprio volerlo/desiderarlo” a “non volerlo proprio”, vale a dirsi “evitarlocomelapeste/rifuggirlocomeilpeccato”. Dici: vado per i fatti miei, mi arrangio.
Un barlume ti si accende all’idea della bicicletta. Qualche frazione di secondo ti basta per capire che no, non è il caso. (A) Il clima di Ithaca fa cagare, senza mezzi termini. Passi dal gelo con nevicate epiche, all’afa che sudi 25 ore su 24. E questo vale per la maggior parte degli Stati Uniti. (B) L’orografia non è amica della bicicletta. Un esempio tra gli altri, il territorio di Ithaca. Qui, un detto comune tramandato dalla sapienza popolare ti avverte che la bici, se ce l’hai, la usi solo in una direzione: nel senso della discesa. Per risalire la collina puoi caricarla sull’autobus, con i disagi annessi di cui sopra. Idea della bici abortita prima ancora di essere concepita.
Decidi di farti grandi passeggiate a piedi. Da solo, perché gli americani notoriamente non camminano. Camminano talmente poco per strada che, nonostante abbiano spazi vasti a disposizione, i marciapiedi non li costruiscono nemmeno. Il pedone è un essere senza dignità, un animale in via di estinzione di cui il WWF si è dimenticato. Quindi il marciapiede è raro e, quando ti capita, lo trovi risicato e pieno di intralci. Tra questi si annoverano buche, pietre sconnesse e/o elementi di arredo domestico trasferiti su spazio pubblico. Divani e poltrone per i pigri, canestri e altri attrezzi da giuoco per gli sportivi, utensili vari per la cura dell’orto sul retro, che ha curiosamente espanso le proprie propaggini fino all’aiuola di fronte casa.
In fin dei conti, cosa cammini a fare quando hanno inventato i motori?
Cominci quindi a cercare di farti degli amici che possano vantare il possesso di un mezzo privato motorizzato. Motorini e scooter sono da sfigati. Quindi cerchi gente che abbia l’automobile, oppure te la affitti. Una volta che l’hai trovata, buon divertimento. Gli americani hanno un modo loro di usare la macchina. In primis, hanno il terrore del traffico. A parte le grandi città, come New York e Los Angeles, dove in effetti le arterie stradali sono densamente popolate, il resto delle strade è pressoché deserto. Gli americani però percepiscono altamente trafficato qualunque tratto di strada in cui ti si presentino contemporaneamente 3 o più veicoli. Per cui il traffico si genera ad ogni piè sospinto ed è tutto intorno a te. Quando è ora di parcheggiare poi, ammesso che trovi un’area non riservata a dipendenti/residenti/disabili/donneinmaternità/bambinispeciali e che non ti costi 15 $ al secondo, l’americano va nel panico. Loro sono abituati a lasciare la macchina nel vialino di casa, o nel garage personale di 7 metri per 14. Di conseguenza, infilare la macchina in uno spazio confinato (comunque dimensionato sulle proporzioni dei loro mega truck e ingombranti fondoschiena che aggiungono volume una volta aperta la portiera) pare una vera sfida da mission impossible. Non parliamo del parcheggio a S, che è proprio una skill avanzata per piloti professionisti.
Il codice stradale è poi molto particolare. Elemento saliente: il semaforo. Col verde passi, col giallo vai rapido (e fin qui tutto ok), col rosso giri a destra. Quando col rosso NON puoi svoltare a destra, te lo dicono chiaro e tondo, scrivendolo per esteso con caratteri neri su fondo bianco “NO TURN RIGHT ON RED” – molto intuitivo e immediato, tra l’altro… io avrei aggiunto anche un “ATTENTION PLEASE, THE RULE HERE IS SLIGHTLY DIFFERENT. THANK YOU VERY MUCH FOR YOUR KIND COLLABORATION”. In tutti gli altri casi, non solo puoi, ma decisamente “devi” svoltare a destra, e anche rapido. Altrimenti ti suonano, eh! Coraggio, che ti sei rincoglionito? Su, che siamo già a tre macchine una in fila all’altra per più di 5 secondi… ed è subito traffico.
All’incrocio senza semaforo, invece, nel Paese che fa della regola una questione di senso della vita, si manifesta un vuoto normativo che ha del miracoloso. Non esistono regole della mano destra, del piede sinistro o leggi della termodinamica applicate al codice stradale. Semplicemente, passa il primo arrivato, oppure il brave heart della situazione. Quando hai preso coraggio e pigi l’acceleratore per impegnare l’incrocio, ringrazi gli altri con la mano. Iniziano intensi momenti di imbarazzo quando ci si ritrova contemporaneamente al crocevia di quattro strade. E passano innumerevoli secondi di convenevoli, ci si guarda nelle palle degli occhi per capire a chi tocca… Vado io, vai tu… hai sempre la sensazione che si stia aprendo quella tipica sfida da saloon. L’incontro all’incrocio pare una riproposizione contemporanea del duello tra i pistoleri più veloci del west.
Sto valutando di andare a bussare a Trump e spifferargli una soluzione per rendere la sua America davvero great again. Nonostante il basso impatto ambientale dell’iniziativa potrebbe fargli storcere il naso, io credo che possa valere la pena di tornare ai tempi dei cowboy e ripristinare l’utilizzo del cavallo. Di erba per nutrire gli equini ce n’è in abbondanza, i garage possono facilmente essere riconvertiti in comode stalle, le pistole ce la hanno già quasi tutti (e quelli che non le hanno è giusto che finiscano la loro indegna vita presto). Potrei convincerlo. Unico problema: a Washington per adesso non so come arrivarci…