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Completo con soddisfazione la lettura di un libriccino di viaggio su come avere un’esperienza da vero local in Bahrein. Scritto oggettivamente male, ma con qualche dritta utile e con consigli finali su come viaggiare leggeri – questi ultimi validi per tutte le destinazioni, per la verità, diciamo aspecifici. Mi pare di aver fatto il possibile. Nel campo dell’ottimizzazione bagaglio ero già abbastanza imparata, dopo numerosi training a care spese alla scuola dell’autodidatta. Chiudo la valigia e arrivo a Malpensa bella tronfia per tutta questa leggerezza.

Coda. Coda lunga e maledetta al check-in. Di quelle che ringrazi di aver preso il Malpensa Express mezz’ora prima, just in case. Ma coda perché? Analizziamo la coda in atto.
Individui che si caricano minimo 4 massimo 11 valigie immense. Dico UNDICI. Le ho contate, nell’attesa. Scatole, scatoloni, contenitori, di ogni materiale foggia e dimensione. Un esempio tra tutti: un televisore da 55 pollici che non so come sia stato posato accanto al banco del check-in e poi abbia proseguito sul nastro trasportatore con tutte quelle curve a gomito. Un numero imprecisato PER PERSONA di carrelli stracolmi con le ruote sghembe sotto tutto quel peso, con relativi tempi indefiniti per il caricamento di tutta quella roba su una bilancia che stramazza alla soglia dei 93,1 kg!!! !!! !!! Non sto arrotondando per eccesso per fare l’iperbole. Riesco a sopravvivere alla coda senza essere schiacciata da uno di quei carrelli che, a quel punto di carico, diventano ingovernabili.

Salgo sull’aereo e qui mi ricordo che Edward T. Hall aveva proprio ragione: Paese che vai, rumori e distanze interpersonali che trovi. La gente si allarga sul sedile, tossisce arditamente e tira su col naso come il peggiore dei cafoni. Solo che qui sono in tanti e io, nel mio silenzio e compostezza, sono la minoranza. Mentre spero che si ricordino almeno di non sputare (lo faranno spesso e volentieri al loro Paese), decido di esplorare l’offerta di contenuti digitali in volo. I film a disposizione sono categorizzati come segue: Hollywood, Bollywood e cinema arabo. Vado oltre e trovo: il Corano. Metti che non sai più a che santo votarti e mediti nella conversione. Metti che musulmano lo sei già e ti vuoi fare una preghiera in aereo mentre punta in direzione de La Mecca. Eccoti pronto il libro che fa per te! Io, per la verità, ci avrei aggiunto il vademecum su come viaggiare leggeri, così, da sfogliare. Magari lo suggerisco quando mi chiedono la recensione sul volo.
Comunque, finisco per isolarmi acusticamente dall’ambiente circostante scegliendo di guardarmi “Elvis”. Setto l’audio in inglese, setto i sottotitoli in inglese. Caspita, sono in arabo. Avrò sbagliato. Risetto i sottotitoli in inglese. Caspita sono in arabo di nuovo. Ah, non mi freghi… Forse se li setto in arabo… No, arabo. Occhei. Film ok, volo ok.

Passaggio per Doha molto rapido, corro per tutto l’aeroporto a perdifiato. Non c’è una minima indicazionie di quanto tempo ci voglia a raggiungere il mio gate C57 (in effetti una preghiera prima ci stava…). La sfida consiste nel procedere a gran velocità scansando i carrelli che intasano innumerevoli corridoi senza fondo. Stavolta, però, si tratta di carrelli della spesa, tipo quelli del supermercato – perché a questo punto dell’aeroporto le valigie le hai già imbarcate. Evidentemente, per motivare il passeggero allo shopping compulsivo, intuisco che a Doha ti dotano di un comodo carrellino dove puoi agilmente adagiare le tue buste, sportine, sacchetti e carabattole inutili. OGNUNO transita spingendo un fottuto carrello, con quel fare ondivago che caratterizza l’utente del centro commerciale, senza meta, e che rende però meno agile il passaggio del viaggiatore che una meta precisa ce l’ha ed è in clamoroso ritardo. Lasciatemi passareeeeeeeeee!!! Salgo.
Qui la scena contiene nello stesso colpo d’occhio: due bambini vestiti interamente di bianco da capo a piedi (capo e piedi in senso letterale) seduti da soli in business class a sorseggiare Coca-cola e una vecchietta (mia vicina di posto) in economy vestita interamente di nero da capo a piedi (ibid.) che gioca ai videogiochi sul tablet. Sic.
Dormo.
Fine del volo, ed eccoci a Dammam, Arabia Saudita, al controllo passaporti. Ci accolgono degli uomini in quella che interpreto essere un’uniforme (o forse un semplice dress code?): palandrane bianche e testa coperta da kefiah rossa con cordoncino nero. Molto elegante. Benvenuti!

Poi arrivo al punto in cui le valigie che avevano imbarcato a Milano le devono sbarcare. Sul nastro trasportatore. Immagina, non puoi.

Esco dall’aeroporto dopo un tempo interminabile in cui il nastro trasportatore non ha mai smesso di trasportare scatole, scatoloni, contenitori, di ogni materiale foggia e dimensione. Fuggo.

Salgo sull’auto che hanno mandato a prendermi. Un transatlantico con le ruote. E mi si presenta l’atmosfera “glocal”. Qui inizia il viaggio nella cultura americana traslitterata in arabo.

Ma, nel mentre: il paesaggio. Piatto, più piatto della pianura padana, piatto sabbia. Le opportunità di parcheggio sono qui qui qui qui qui qui qui qui qui qui qui oooovunque. Praticamente il paradiso del milanese medio. L’autista messaggia alla grande su whatsapp mentre guida, con evidenti necessità di riassestare l’allineamento nella carreggiata. Mi dico vabbè, la strada é larga, tutt’al più facciamo un detour sulla spiaggia qui accanto. Una sola corsia delle strade a scorrimento veloce è larga quanto tutta la nostra Brennero-Modena, tanto di spazio per l’asfalto ce n’è, tra un pezzo di sabbia e l’altro.
L’orizzonte é lontanissimo e tutto intorno a te, appena oltre quel piattume, che di notte non distingui il mare dalla sabbia. Le luci, là in fondo, potrebbero tranquillamente essere una flotta di navi anziché una città?
E poi Carrefour e Starbucks e KFC accanto a non so cosa che non riesco a leggere.

Vorrei prelevare qualche soldino giusto per non andare in giro a secco totale, anche perché leggevo che consigliano di tenersi qualche spicciolo per le mance. Il bancomat é drive-in. Il menù di scelta rapida mi propina cifre a caso dai 500 Riyal in su. Su consiglio del tassista prelevo 1000 per non stare a cercare di fare la conversione mentre c’è la coda dietro, che ho già l’ansia. Scopro a posteriori che sono 250€ e non saprò mai cosa farmene di tutti questi soldi. Per dire, questo viaggio da Dammam, Arabia Saudita, a Manama, Bahrain, in taxi costa 350 Riyal. Non ho idea di come utilizzare i restanti 650. Spero di non spenderli tutti in mance.

Arriviamo alla barriera di ingresso col Bahrain. L’autista mi raccomanda che se ci dovessero fare delle domande io devo dichiarare che lui é un amico del mio amico Haider – mai visto né sentito, inutile a dirsi. Ma d’altronde l’assonanza col tedesco mi richiama alla memoria il Saudi German Hospital (???) che ho visto poco fa sulla strada. E mi sento subito più a mio agio, nonostante nella mia testa rimbombi un maestoso: Boh. Procediamo. O la va o la spacca. Stop. Ci timbrano il passaporto per l’uscita dall’Arabia. Stop. Ce lo ritimbrano per l’entrata in Bahrain. Stop. Ci controllano il bagagliaio. Stop. Dobbiamo pagare l’accesso al “ponte sullo stretto che ce l’ha fatta”. In tutto ciò, nessuno mi ha chiesto in che rapporti siamo con il tassista qua, che, tra l’altro, non ho idea di come si chiami – realizzo ora. Ma d’altronde io sono amica di Haider, che per ricordarmi il nome me lo sono ripetuto ininterrottamente per questi 20 minuti che sono intercorsi tra uno stop e l’altro e, per non sbagliare il mantra, me lo sono appuntato pure sul telefono.

E poi c’è l’IKEA e ci sono le palme con le lucine di Natale.

Sì, sarà un’avventura, me lo sento, e forse più d’una, ma anche più duna.