Ho realizzato nel tempo che le strade del mondo non sono le strade d’Europa. Stacce. Nel caso del Bahrein clusterizzerei la struttura viaria in quatto macro-categorie non scevre, tuttavia, da curiose contaminazioni: la strada per le macchine, la strada per i pedoni, la strada per le cose e la strada dove le varie entità convivono a stretto contatto.
Booking.com ha voluto che il mio hotel si trovasse collocato su una sorta di autostrada. Mi pareva un punto panoramico e, in effetti, è vero, dall’altro lato. Dopo una rapida perlustrazione dell’intorno, sceglierei comunque di nuovo lo stesso hotel su questa lingua di terra tra Muharraq e Manama. Una strada a scorrimento veloce di 8 corsie, 4 da un lato e 4 dall’altro, collega le due isole. Scopro con scorno, quando il receptionist dell’hotel mi ride in faccia, che a piedi posso andare solo nella direzione di Muharraq (non é veramente vero ma lì per lì mi fido ciecamente). Ok, vorrà dire che quella è l’esplorazione di oggi. Vado quindi alla scoperta della “Via delle Perle”. Mi incammino.
La passeggiata inizia proprio sulla highway dove, comunque, trovo un marciapiede, poco frequentato, ma non del tutto deserto. Non è risicato, ma presenta almeno due peculiarità. Primo, dal lato della strada le auto scorrono alla velocità di circa 100 km/h, così a occhio e croce, e non c’è uno straccio di protezione tra me e la carreggiata. Praticamente ogni macchina che passa mi sposta, ma ok. Secondo, ogni 30 metri circa si trovano dei cartelloni con pubblicità progresso del tipo “Say no to corruption”, di cui apprezzo il contenuto ma non la forma. Questi cartelloni sono giganti, occupano quasi tutta la larghezza del camminamento e, soprattutto, sono appesi a partire dall’altezza del mio mento in su (e non parliamo certo di un watusso). Ciò comporta che ogni 30 metri io sia costretta ad abbassarmi o a muovere il collo a mo’ di struzzo in modo da evitare una cartellonata in faccia. Comodo ma non comodissimo. Ad ogni modo, come me di questo strampalato camminamento se ne giova anche qualche amatore del jogging, quindi mi sento confortata: questa via va da qualche parte.
Questo quando il marciapiede c’è. Perché alle volte, senza motivi apparenti, il marciapiede non c’è. E quando è assente si cammina sulla sabbia. Se chiudi gli occhi e fai uno sforzo di immaginazione potresti quasi confondere il rumore del traffico con quello delle onde, che in effetti si infrangono giusto poco poco più in là, e sentirti per un attimo sul bagnasciuga. Meglio comunque tenerli ben aperti, gli occhi, visto che a una certa la strada va attraversata quindi bisogna aspettare che sfrecci l’ultima macchina e con balzo lesto guadagnare l’altro lato. Mi sento molto Beep Beep inseguito da Willy il Coyote (in continuità con l’immagine dello struzzo di cui sopra).
Passato questo tratto a stretto contatto con l’alta velocità, tiro un sospiro di sollievo all’ingresso di un’area urbana dove le strade tornano a una dimensione regolare e le macchine viaggiano a velocità limitata. Qui ho modo di osservare le persone o, meglio, gli uomini. Di donne ne girano pochissime. Quelle che vedo possono essere in gruppo, accompagnate o sole, velate in diversi modi o a capo scoperto, ma sono poche; in molti momenti della mia camminata, nessuna (in effetti è anche venerdì, giorno in cui, scoprirò poi, le donne tendono a stare a casa). La popolazione che incontro si compone di un potpourri di Medio Oriente, India e Africa. Il tratto che accomuna tutti quanti è la calzatura. Le donne con le scarpe da ginnastica, gli uomini indistintamente in ciabattine. Che faccia bel tempo o che piova, la ciabatta è il must-have dei bahreiniti. Certo, devono essere comode queste calzature perché pare che tutti non facciano altro che camminare, preferibilmente senza una meta precisa. Mancano i posti dello stare. Non è che c’è un baretto coi tavolini all’aperto, uno straccio di parchetto o di piazzetta dove accomodarti. Stanno cercando di creare luoghi di questo tipo solo negli ultimi anni. Lo realizzo giungendo all’imbocco dell’agognata “Via delle Perle”. Questo percorso è evidentemente pensato per valorizzare il labirinto di vie solo pedonali che ha caratterizzato nel passato lo sviluppo della città storica. Il percorso, ancora in costruendo, è tracciato da una serie di colonne alla cui sommità è sormontata una sfera bianca luminosa che richiama simbolicamente la foggia di una gigantesca perla. Bell’idea. Comincio a trotterellare per queste mini-viuzze, che mi costringono ogni 10 passi a cambiare direzione. Mi sento dentro Pac-Man. Come nemici lungo il percorso, al posto dei fantasmi colorati, incontro dei gatti malconci, che fanno molta ma molta più paura, nella loro brama di sbocconcellare degli avanzi di cibo di cui vanno a caccia feroce per continuare a sopravvivere negli stenti. Spero non mi prendano per una possibile preda mentre arrivo a uno slargo e, ohibò, realizzo che la strada è interrotta da un allagamento. Piove, effettivamente, ma non in modo così torrenziale da giustificare l’enormità di questo guado. Eppure vedo che sto andando incontro a un problema logistico: come oltrepassare questo specchio d’acqua? La conferma della sua profondità mi arriva in men che non si dica quando vedo un ometto, dall’altro lato dello slargo, che inforca le sue ciabattine, si tira su i calzoni alla bell’e meglio ed entra nella pozzanghera. Fino a metà polpaccio. Ecco che la ciabattina “comes handy”, come direbbero gli americani; in questo caso, in senso proprio letterale. Visto che io ne sono però sprovvista, giro i tacchi e cerco un percorso alternativo, perdendo inesorabilmente traccia della Via delle Perle.
E mi imbatto nel suq, la strada delle cose. Qui l’oggettistica ha la meglio su tutto il resto. La quantità, il colore, la protervia delle cose che si affastellano su ogni superficie visibile da occhio umano dominano la mente. Attraverso questi vicoli coperti da teli stesi tra un edificio e l’altro e guardo. Queste vie sono fatte di negozi fitti fitti, uno accanto all’altro. Sembrano appoggiarsi uno sull’altro da quanto sono stretti e zeppi. L’unica cosa che si può fare in un questo percorso è restare ipnotizzati dal roteare dei prodotti. Gioielli, vasellame, tappeti, tavolini, roba da mangiare, tessuti, vestiti, scarpe, dolciumi, profumi. Tutto insieme, separato ma accanto, compatto. La varietà al mio cospetto. Le percezioni sensoriali si sovrappongono. Ci sono talmente tante cose che finisco per non volerne nessuna. Esco dal suq.
Infine, ci sono strade di tutto e tutti. In queste strade accade una commistione bizzarra delle attività della macchina con il brulicare del pedone e il proliferare delle cose. Capisco che qui spostarsi senza mezzo privato è praticamente impossibile (il trasporto pubblico è quasi inesistente), tanto che forse l’essere umano vi si identifica un po’ con la macchina, e viceversa. Comunque, queste sono le classiche strade in cui fai cose e vedi gente. In queste strade il marciapiede non c’è veramente, spesso si trasforma in gradini ai piedi degli edifici che probabilmente servono, da un lato, per staccare gli ingressi da terra quel tanto che basta per tenere fuori un po’ di sabbia, o di acqua quando piove, e, dall’altro, per esercitare la pratica del “sedendo e mirando”. In queste strade, da ambo i lati di una carreggiata dai confini indefiniti, si alternano edifici che interpreto come residenziali, a spazi commerciali o, meglio, piccoli anfratti ricavati al piede degli edifici, stracolmi di oggetti che strabordano verso lo spazio pubblico per fare posto almeno al mercante che lì dentro deve riuscire un minimo a muoversi. E’ tutto un carico-scarico da questi negozietti, tutto un tira dentro e porta fuori, entra e esci, fai e briga. C’è grande fermento anche se non si sa bene dove vada né cosa faccia, la gente. E’ tutto nel passaggio, tutto scorre, come la vita. Uomini, cose e macchine, qui, condividono questa condizione esistenziale in una dimensione stradale ibrida in cui nessuno prevale, ma si avvicendano l’uno all’altro senza soluzione di continuità. E’ un teatro urbano dove la maggior parte delle cose sembrano succedere per caso, ma con una fluidità inverosimile che ne scongiura l’apparente pericolosità. Un sistema intricato quanto perfetto che si muove privo di regia centrale, ma senza nervosismo, dove si prende a camminare in mezzo alla via senza preavviso, ma nessuno ti stira, si suona il clacson senza motivo, ma nessuno risponde, si parcheggia dove si vuole, ma nessuno si incazza, i semafori per i pedoni non esistono, ma si attraversa comunque la strada agevolmente. Prendi Napoli, elimina le grida della gente che insulta, sottrai i motorini, togli le donne: sei a Manama. E non muori.