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Esmail e tu quanti fratelli hai? “Eh la situazione è un po’ particolare. Perché mio padre ha quattro mogli quindi in totale ho 28 fratelli”. VENTOTTO. “Con la mia sola famiglia possiamo giocare a calcio una squadra contro l’altra, con anche le riserve in panchina”. VERO. Fortuna che non festeggiate il Natale altrimenti era un casino.
Poi, in realtà, non è così comune avere più di una moglie. È rimasto un costume diffuso solo nelle regioni più tradizionali del nord e del sud. Il centro del Paese ormai ha abbracciato un modello monogamico. Ma c’è di più. Lo stesso padre di Esmail, dopo i suoi quattro matrimoni, ha raccomandato al figlio di semplificarsi la vita. Punto numero uno: quattro mogli e ventotto figli cominciano a diventare un ingente esborso economico che, nel contesto odierno, è difficile gestire. Punto numero due: avere quattro mogli è stressante perché il Corano dice che devi dedicare a ciascuna di esse le stesse attenzioni e le stesse cure, passare con tutte la stessa quantità di tempo e non dare adito al fatto che pensino che tu sia un cattivo marito, anche se, dopo tutto, si sa che una preferita c’è. Punto numero tre: il vero problema sorge quando le diverse mogli si stanno simpatiche e fanno comunella; a quel punto, per l’uomo non c’è scampo se non quello di obbedire al loro volere e assecondare ogni loro desiderio di cui verrà preteso l’esaudimento con la forza di una formazione oplitica a testuggine. Meglio quindi mantenere equilibrati i numeri. Esmail ha scelto di attestarsi su un 1 a 1 palla al centro, per restare in tema calcistico.

Nella vita di tutti i giorni donne e uomini convivono sfiorandosi, molte volte conducendo attività in parallelo, anche all’interno della stessa casa e della stessa famiglia. Perché la tentazione è sempre lì dietro l’angolo e potrebbe coglierti nel momento in cui meno te lo aspetti. Quando ci si incontra per la via, tra donne e uomini è l’apoteosi del delirio. Mi è stato assicurato che un uomo e una donna che si stringono la mano in segno di saluto fa talmente strano che significa certamente che i due hanno un trascorso sotto le lenzuola. Grazie COVID che mi hai insegnato che le mani è meglio non stringersele, altrimenti, io che sono una da baci, abbracci e pacche sulla spalla, sarei già stata condannata alla gattabuia eterna. Solo i potenti mi hanno stretto la mano, il grande capo di qua, il chief executive di là. Ma la raccomandazione è quella di aspettare che sia l’uomo a porgertela e adeguarsi all’atteggiamento. Questo quanto suggeritomi da Al, che ne sa, dall’alto delle sue esperienze lavorative in Canada, in Spagna e in Francia.

Al (utilizzerò questo nickname per lo pseudonimo di Aladdin in ottemperanza alle più recenti pratiche GDPR-compliant) è molto ospitale. Mi dà appuntamento alle 7 per accompagnarmi a cena e mostrarmi la città. Segue un lungo giro turistico per Khobar in macchina. Andremo poi al ristorante anche con Jasmine (una delle partecipanti al master – anche questa sotto pseudonimo).

“Al, mi pare che qui non camminiate tantissimo, sbaglio?” – “No no, qui si va solo in macchina”. Prendi un centro commerciale, esplodilo, spruzzaci in mezzo della sabbia, posa su questa delle strade carrabili ad alto scorrimento ed ecco Al Khobar.

Siamo stati in macchina insieme per circa un’ora e mezza in cui Al avrebbe potuto raccontarmi di come si è sviluppata la città o della storia del suo Paese, oppure magari della sua azienda, o dei suoi periodi di lavoro all’estero, oppure ancora darmi qualche feedback sul corso che sto facendo da loro. No, Al ha deciso, in quei 90 minuti, di parlarmi a ruota libera di donne, di uomini, d’amore e di alternative. “Scusa, doc, se parlo a ruota libera, ma sento che di te mi posso fidare” – e qui comincio a dubitare se usi in continuazione questo appellativo, “doc”, perché non si ricorda il mio nome (tende a chiamarmi Claudia, chissà! Mi confesserà poi che Chiara, letto col “ch” aspirato, in arabo vuol dire CETRIOLO), in segno di rispetto (come sostiene), oppure perché mi ha preso per la sua psicologa (come interpreto io, invece).

Al ha 42 anni, è sposato da 9, ha tre figli e ha una moglie un po’ capricciosetta che ha appena speso un sacco di soldi per comprare un nuovo soggiorno e una nuova cucina per la loro comoda casa di 500mq. La casa, però, non è situata nella zona dove vive la famiglia di origine della moglie perché Al è un self-made man e quella zona non se la può permettere. Al non è ricco di soldi (non è vero, ma l’ha messa giù così), ma è ricco d’animo e di esperienze di vita. Ha viaggiato molto per il mondo. È un esploratore, anche se non gli piacciono i musei e, pur di fare una buona impressione al suocero, in ogni città in cui è stato negli ultimi 9 anni, si è scattato una foto nella hall del museo principale senza però aver mai comprato un biglietto che fosse uno. Lui, dei musei, visita solo le hall d’ingresso.

Al, s’intuisce, è un po’ un ribelle. Prima di trovare la moglie che poi oggi è la madre dei suoi figli, i suoi genitori hanno dovuto passare in rassegna ben 40 donne. Poi, una volta non andava bene lui alla famiglia della ragazza, l’altra non andava bene la futura ragazza alla sua di famiglia. Per dire, la sua famiglia è una famiglia religiosa e non avrebbe mai accettato che lui sposasse una ragazza di una famiglia “leggera” (leggasi, non ‘atea’, ma meno religiosa della sua). La quarantesima, però, era quella buona.
Le promesse che si sono fatti con la sua futura sposa nel quarto e ultimo step di selezione, quello che finalmente coinvolge i due diretti interessati (gli altri 39 tentativi di ingaggio non erano andati oltre il secondo step), sono le seguenti. Al ha chiesto a lei di (a) non dirgli le cose al telefono, ma per parlare seriamente di aspettare che rincasi; (b) di frequentare la sua famiglia almeno una volta al mese o eventualmente di consentire ai loro figli di frequentare i nonni; (c) di non litigare con la sua famiglia di origine ma di lasciare gestire a lui le relazioni con loro. Ragionevole. Lei ha chiesto a lui, invece, di poter continuare a lavorare per l’organizzazione governativa per la quale tutt’ora lavora. DEAL. Un giorno sua moglie gli ha chiesto “Ma questo è amore?”. Lui ha risposto “Non lo so, stiamo insieme e ci rispettiamo”.

Al ha mentito, però. Perché lui lo sa. Lui l’ha conosciuto l’amore, almeno due volte. Il primo amore vero, consumato e desiderato come una storia per la vita è stato a Parigi, in quel periodo quando lui abitava là. Questa ragazza franco-marocchina era tutto per lui. Si sentivano tutti i giorni anche quando la storia ha proseguito a distanza, parlavano finché non moriva la batteria del telefono. Lui le ha proposto di sposarlo, ma lei non se l’è sentita di trasferirsi nell’allora radicale e oscura Arabia Saudita. Al, che non avrebbe potuto trasferirsi definitivamente in Francia, ha capito. Un giorno Al è stato chiamato urgentemente dalla madre a tornare in Arabia per una ragione importante. E lì Al ha capito di nuovo. Ha chiesto alla madre 10 giorni di tempo per fissare l’appuntamento che sapeva sarebbe stato decisivo. Nel mentre, 7 giorni gli sarebbero serviti per lasciare la Francia e tutto il resto e 3 giorni per tirarsi insieme. Si sono allontanati in punta di piedi, Al e la sua amata, lentamente, per non farsi del male. Hanno capito. E sono andati avanti con le loro vite.

E poi la storia la sappiamo, finché Al un bel giorno non sale in aereo per recarsi a Riyad per lavoro e chi ci incontra sul volo? Una sua collega, anch’essa diretta a Riyad per lo stesso progetto. Coincidenza vuole: una delle 40 papabili. Una di quelle scartate perché di famiglia troppo leggera. E da lì sono stati inseparabili, per quel che è possibile, almeno sul lavoro, lui e Jasmine. Jasmine, quella che incontriamo a cena tra mezz’ora (come vola il tempo quando ci si diverte…, quasi come su un tappeto volante).

Cena libanese ottima. Salutiamo Jasmine e risaliamo in macchina. Commento di chiosa da parte di Al con un sorriso sornione: “Yes, I love her”.

Insomma, invitarmi a cena fuori era una scusa per Al, un pretesto, per vedere la sua Jasmine nelle luci della sera in un contesto non lavorativo. Jasmine é il secondo amore di Al, questa volta un amore etereo e idealizzato. Jasmine ha la sua famiglia e due figli anche lei, si è sposata 10 anni fa.
Al sa tutto di Jasmine e Jasmine sa tutto di Al, perché avevano indagato nei retroscena delle rispettive famiglie ai tempi della ricerca del partner, ma anche perché passano insieme giornate intere fianco a fianco al lavoro, sfiorandosi. Anche se non possono andare a prendere un caffè solo loro due insieme, figuriamoci una cena. Non si possono stringere la mano. Non possono dirsi “Halo Habibi” perché tra uomo e donna é sconveniente. Non possono concepire l’amicizia, tra di loro. E quindi, soprattutto quando devi cavartela tra tutti questi divieti, é subito amore. Poi nella quotidianità del lavoro Jasmine e Al hanno discussioni accesissime. Se lo sono detti ridendo “tra di noi non avrebbe mai potuto funzionare”. Come se ci fossero state alternative.

Al ha meditato per lungo tempo su un’alternativa, non tanto per se stesso, quanto per i suoi figli. L’opzione potrebbe essere di andare presto in pensione (tipo a 50 anni – salute!), comprare una casa magari in Spagna, permettere ai suoi figli di andare all’università in Europa e sviluppare le proprie vite adulte in un Paese dove donne, uomini e amore non sono alternativi gli uni agli altri nello spazio e nel tempo, nel senso di mutualmente escludenti, ma alternativi nel senso che ti si propongono come una scelta aperta e libera.
Da tre-quattro anni a questa parte le cose, però, sono un po’ cambiate. Se prendi una seconda moglie devi avere un motivo (esempio che dalla prima non puoi avere figli). Si può divorziare. Oggi le donne posseggono beni, guadagnano, studiano. Possono guidare e andare in giro da sole. Oggi donne e uomini lavorano fianco a fianco e condividono più di quello che condividono a casa mogli e mariti, tante volte, come in gran parte del mondo. Oggi un’alternativa comincia a essere possibile e Al crede che i suoi figli potranno avere un futuro positivo anche restando in Arabia Saudita e, anzi, partecipando alla creazione proprio dell’alternativa stessa.

“Al, ma questa macchina di fronte alla nostra si è dimenticata di accendere i fari!” – “Sì, dev’esserci una donna al volante”. VERO. Corretto, Al. Tutto il mondo è paese.
Donne e motori, gioie e dolori.

PS: Ho conosciuto la moglie di Al. Aspettano il quarto figlio. Jasmine, però, é un altro livello.