Salgo in ascensore e mi dirigo verso l’ultima sontuosa colazione che mi merito in questo hotel da favola. Si riapre però la porta al mio stesso piano ed entra un biondone (da favola per davvero, scopriremo in seguito) che subito mi saluta con entusiasmo: “Hey! Good morning! How are you?”. Bene, grazie, everything alright! Tu? “I am veeeery well! Where are you from?”. Italy. “No way!!! Amazing!!! I am from New Zealand”. Ma pensa te la carrambata, siamo proprio dirimpettai eh! Non dubitavo che sotto tanto biondume ed entusiasmo si celasse uno di quella parte del mondo dove sono tutti sempre FELICI. Mi accomodo con agio in questa conversazione in cui, nonostante il diverso grado di enfasi che mettiamo nelle rispettive affermazioni, mi sento rappresentata. Dopo dieci giorni di riflessioni interiori, finalmente posso condividere la mia prospettiva con uno che capisce il mio punto di vista e ha vissuto gli stessi shock che ho vissuto io in questa esperienza fantasmagorica, piena di contrasti.
E quindi Joe é da favola perché è un attore di musical (per il resto é certamente gay, quindi la favola finisce qua). Guarda caso, a questo giro recita la parte di Pinocchio per lo spettacolo di Shrek che si terrà nelle prossime settimane a Ithra, lo spazio eventi recentemente inaugurato da Saudi Aramco (quell’edificio a forma di sasso – vedi Le mille e un’avventura – MILLESETTE. Vita da compound – Ritorno al futuro in déjà-vu), proprio la società che ha comprato dal Politecnico il master dove sono stata a insegnare. Finisce che facciamo quattro chiacchiere perché Joe si definisce uno “espansivo” – ma l’avevamo capito anche senza questa ammissione di colpa. Finalmente posso lasciarmi andare, dare qualche amichevole picchiettatina sul braccio al nostro Joe, questo viso familiare, con il quale mi ritrovo su una serie di riflessioni, nonostante la separazione geografica voglia che, in effetti, siamo residenti agli antipodi del pianeta. Concordiamo sul fatto che questa parte del mondo è davvero bizzarra. Il contrasto é dappertutto. E condivido, con il controcanto di Joe, l’esplosione cerebrale che produce vivere la vita come un inanellarsi di opposti. Qui, nel Golfo Persico, o si verifica una condizione, oppure il suo esatto contrario. Non ci sono intermezzi.
A iniziare da…
“Ah, oggi è una bellissima giornata!” – Ci rifletto, un attimo dubbiosa, e ribatto “Moh per la verità mi sembra nuvoloso, più che nuvoloso il cielo è proprio grigio… Ieri era meglio, ieri c’era il sole!” – “Esatto, perfetto! A noi non piace il sole, ce n’è troppo tutto l’anno. Così è bellissimo”. Ok Moh, fair enough. Moh è il manager che ha contribuito a organizzare il master a cui insegno, nonché colui che mi scorterà come un’ombra nei giorni trascorsi qui, quello che mi introdurrà a tutte le persone importanti che conosce (tante, ci tiene a sottolineare) e che mi farà girare come una trottola perché devo apprezzare questa esperienza anche e soprattutto come scambio culturale. Procediamo, Moh, aiutami tu, che hai esperienza pluriennale di lavoro e vita fuori dall’Arabia Saudita e quindi, meglio di altri, potrai spiegarmi. Spiegami di questi contrasti.
La temperatura fuori. Si comincia che non ci sono le mezze stagioni. Ma qui non la vivono in maniera nostalgica. Non è che non ci sono più, non ci sono proprio mai state. La bella stagione è quella che va da settembre a marzo: l’inverno. Quando è inverno e c’è meno sole fa freschino, si arriva a 15-20 gradi, ma anche in questa stagione, quando esce il sole, picchia duro. Poi arriva l’estate, da un giorno all’altro. Ed è estate caldissima sempre dai 35 gradi di notte a salire fino a oltre 50 di giorno. Per mesi. La misura del disagio è presto fatta quando Moh mi racconta che più sali di grado nel management dell’organizzazione, più il posto macchina che ti viene riservato in azienda si avvicina all’ingresso. Perché, se fai carriera, hai diritto di preservare la salute minimizzando il tempo che ti tocca trascorrere a 50 gradi dal momento in cui apri la portiera della macchina a quello in cui apri la porta dell’ufficio.
La temperatura dentro. E quindi, per scongiurare il rischio di sentire caldo, l’aria condizionata è imprescindibile ed è settata sempre a temperature polari. Ne discutiamo in classe: “Ragazzi ma cosa mi dite del comfort termico in ufficio, perché, sapete, in Europa le donne sono vestite molto meno degli uomini, soprattutto in estate, e quindi hanno sempre freddo in ufficio. Qui però mi sembra che la condizione potrebbe essere diversa, appunto considerando le diverse abitudini di abbigliamento”. No, le donne hanno comunque sempre freddo, anche se sono bardate con molteplici layer di tessuto. Nell’hotel, per esempio, leggo con orrore su alcuni termostati la temperatura di 16,5°C. Ecco perché sentivo in effetti quel colpo d’aria sul collo. Perché, quando c’è caldo fuori, devi sentire freddo dentro e, quando c’è freddo fuori, devi comunque sentire freddo per goderti il ricordo di questa sensazione nei mesi a venire.
L’umidità. Fuori è molto umido, siamo vicino al mare. Moh mi porta a fare un giro sulla nuova passeggiata lungomare che hanno aperto da poco. L’acqua si vede per 20 metri, poi è la nebbia. Pare di stare dentro a The Thruman Show, potrebbe esserci un tendone al posto del cielo con dietro un tizio che dice “scherzavo!”. E crederei più a lui di quanto credo al plasticume che mi circonda. Ovvio che, per contrasto, negli ambienti interni è molto secco, grazie a tutta quell’aria condizionata sparata alla si-salvi-chi-può. Secco come il deserto che sta al centro del Paese, al centro di questa umidità.
La luce. Quando è giorno è molto giorno, c’è tanta luce e il sole è cattivo. Alla fine del giorno arriva la notte e arriva subito. E il buio è molto buio. Le strade, quelle carribili, sono molto illuminate, svolti l’angolo di una viuzza secondaria ed entri nelle tenebre. Il tramonto dura pochissimo, quanto basta per abituare l’occhio a una nuova condizione visiva. Mi punto la sveglia alle 7, alle volte anche alle 6.40, e trasalisco perché pare mezzogiorno. C’è già piena luce. L’alba è volata. Giorno e notte notte e giorno. Uno di seguito all’altro, quasi senza intermezzo.
Il cibo. Il cibo è tendenzialmente o molto salato o molto dolce. Le pietanze tipiche (poche) sono molto speziate e tendono a eccedere in sapidità. Prendiamo la colazione dell’hotel. Prediligendo il reparto della colazione locale (mi tengo ben lontana dalla sezione dello yogurt, dei cereali, delle uova, dei pancake, dell’insalata, della zucca e broccoli -???- e varie ed eventuali), si possono assaggiare molti formaggi simili alla feta greca ma con diverse consistenze, ricoperti di erbe e zeppi di sale. Ogni tanto ci accompagnano delle verdurine sott’aceto, che speri ti diano un po’ di refrigerio alle fauci, ma le ritrovi acidissime e salatissime al contempo. Non c’è scampo. Si passa per direttissima dal salatissimo al dolcissimo quando ti viene l’intuizione di addentare un dattero, nel tentativo di calmare i segnali di allarme che ti stanno mandando le papille gustative. E qui è pieno di datteri. La quantità di datteri che si assume in diverse forme corrisponde circa a fare un boccone di una pietanza qualunque e addentare un dattero. I datteri vengono propinati a ogni pié sospinto, soprattutto d’inverno, quando (sostiene Moh) devono dare energia – nemmeno fossimo al polo nord! Moh assicura che il consumo medio pro-capite di datteri é di circa 12 al giorno. 4 per ogni caffé arabo che si beve. Poi di datteri ce ne sono almeno 365 tipi, uno per ogni giorno dell’anno. Vuoi rinunciare a questa tentazione? Anche se vuoi, è praticamente impossibile. Il dattero si cela in una molteplicità di prodotti alimentari che il prezzemolo a confronto é cosa da poco. E il dattero resta con te tutto il giorno, se non è uno di quei momenti in cui lo stai masticando (che sono, in effetti, molti), ce l’hai comunque tra i denti. Il dattero ha questa unica proprietà di crearti uno strato pastoso e appiccicoso su tutta la dentatura che solo spazzolate vigorose con abbondanti dosi di dentifricio potranno rimuovere. Io consiglio anche una passata di filo interdentale, per perfezionare il desiderato risultato di dimenticarsi del dattero per qualche ora. Non é una coincidenza che gran parte degli scheletri ritrovati nelle tombe in Bahrein siano senza denti, tutti caduti a causa di un’alimentazione eccessivamente zuccherina. Credo il filo interdentale non l’avessero ancora inventato.
L’alimentazione. Il contrasto di sapori fa parte comunque di un regime alimentare sui generis. Quando assumi cibo, lo assumi in grande quantità. L’abbondanza è d’obbligo. A ben vedere, più che assumerlo, innanzitutto è importante ordinarlo in gran quantità. Poi, se lo consumi o meno, non è che conti tantissimo. Dosi esagerate di cibo vengono propinate a ogni occasione. E il concetto della doggy bag è una delle poche cose che gli americani si sono scordati di esportare in questo Paese. Alcuni esempi. Nell’hotel in Bahrain ho ordinato una colazione araba che mi ha nutrito per un’intera giornata, c’ho fatto colazione, pranzo e cena.
Al master in Aramco copiose dosi di cibo ci hanno accompagnato per l’intera durata del corso. Il cibo era perennemente a disposizione, mi accoglieva al mio arrivo alle 8 del mattino (chiaramente coperto da ottima pellicola protettiva – per approfondimenti vedi Le mille e un’avventura – MILLEDUE. Vita da hotel) e restava con me fino alla fine della giornata lavorativa. Sicuramente, nel complesso, ho passato più tempo in compagnia dei vassoi e del loro relativo contenuto, che non con i partecipanti al corso, la cui presenza in aula è stata ben più discontinua. Una sorta di scambio di ruoli. Nella mia idea, era il cibo che doveva entrare e uscire in diversi momenti, non le persone. Ma vabbè.
Moh mi invita a casa sua per cena in occasione del family gathering settimanale del giovedì. Questo inizia con vassoi strabordanti di dolci, spiedini di frutta ricoperti di cioccolato, marshmallow e, neanche a dirlo, datteri, datteri interi, cupcake di datteri, torta al dattero con sciroppo di dattero e compagnia cantante. A circa un’ora di distanza da questo corposo snack, si prosegue con un vero e proprio banchetto a buffet di cose salate, quindi salatissime. 9 vassoi stracolmi di pietanze ispirate a ogni tradizione culinaria, senza una apparente logica. Si va dalla Cesar salad, agli spaghetti Malesiani, al Gerish (pappetta tipica araba che curiosamente è il piatto che finora ho trovato, a scala globale, più simile alla peará veronese), alla immancabile pasta (una salsa sconosciuta a base di panna condisce delle penne. Lisce – perché???). Con tutto questo cibo, il giro del mondo avremmo potuto tranquillamente farlo a piedi, anziché limitarci a rievocalo con i sapori. I milanesi ci avrebbero fatto schiscette per un anno; qui probabilmente gran parte della roba è stata buttata senza pensarci due volte.
All’opposto c’è il digiuno del Ramadan. Non mangi e non bevi per tutto il giorno, ma roba commestibile nemmeno la puoi vedere. Poi viene la sera, dove immagino si arrivi famelici ad abbuffarsi. Almeno tra il giorno e la sera ci corre un attimo, giusto il tempo che ti venga l’acquolina in bocca.
Le distanze interpersonali. Le persone stanno o molto distanti o molto vicine le une alle altre. Tra uomo e donna non ci si può minimamente toccare, figuriamoci. Ma anche tra uomini e tra donne il contatto fisico è decisamente limitato al momento del saluto iniziale. Una stretta di mano o una pacca sulla spalla. Anche tra giovani i rapporti trasudano formalità e compostezza, a meno che non si sia membri della stessa famiglia. Poi però nella moschea a salutare Allah si sta tutti appiccicati, vicinivicini, con qualunque sconosciuto ti becchi. L’ideale è toccare con la spalla i propri compagni di preghiera, per sentire che si é insieme in contatto con il divino. Nella moschea si sta pigiati come sardine. Ma questa pratica si attua anche se sei nel deserto con un solo amico. All’ora x, stendi i due stuoini uno attaccato all’altro e invochi Allah fianco a fianco. Ho visto gente impegnata in questo rituale nel bel mezzo delle giostre sul lungomare di Manama, tra luci mirabolanti e bambini lanciati tipo flubber sul saltasalta. Però stare attaccati supporta la spiritualità. S’intende, donne con donne e uomini con uomini. Donne e uomini pregano separati, in aree rigorosamente diverse della maschea. Le donne stanno in seconda fila (altrimenti gli uomini si distraggono a guardare i culi – anche se con tutta quella roba addosso il culo lo si può al massimo localizzare a una certa altezza da terra) oppure, preferibile, al piano di sopra. La meglio di tutte è che gli uomini vadano alla moschea mentre le donne stiano direttamente a casa.
Il genere. Uomini e donne sono due entità rigidamente separate negli ambienti pubblici, come anche in quelli privati. Donne e uomini sono separati nello spazio e nel tempo nel senso che ci sono molte cose che i due generi fanno separatamente. Nelle case ci sono gli ambienti per le donne e quelli per gli uomini, ognuno si incontra con amici e parenti del suo stesso sesso. Negli uffici c’è la stanza per la preghiera delle donne e quella per la preghiera degli uomini. I bagni non sono solo separati, i bagni sono spesso distanti gli uni dagli altri. Tipo, al ristorante, hai subito a sinistra il bagno per gli uomini, mentre seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino, dietro alla paratia, per le donne. In effetti capita di entrare nel bagno delle donne e ritrovarle mezze desnude perché si stanno accomodando la palandrana a scelta di cui sono coperte. Quindi bisogna scongiurare il rischio che, quando una entra o esce aprendo la porta, un uomo che casualmente si é perso la retta via – chissà come avrà mai potuto arrivare fin quaggiù, ma comunque… – possa adocchiare un lembo di pelle di una donna sconosciuta. Questo lestofante! E quindi davanti alla porta ci aggiungiamo anche il paravento. Questa separazione é insegnata dall’infanzia. Le scuole sono separate per uomini e donne. Quelle delle donne sono cinte da mura di mattoni pieni alte almeno tre metri, così quando sei dentro puoi stare “tranquilla e rilassata” (assicura la sorella di Moh) senza palandrana, perché anche le insegnanti sono tutte donne. Moh mi racconta però che da 4 anni a questa parte “things are changing”. é stato fatto qualche passo in avanti col timido tentativo di contaminazione dei generi nell’ambito dell’istruzione. I primi 4 anni di scuola elementare sono assieme. Queste classi sono ospitate nelle scuole femminili, quelle con i muraglioni, per cui anche tutte le insegnanti sono donne. Quindi tranqui. Tra bambini chiaramente il rischio di pensieri impuri è piuttosto limitato.
Quando la separazione non può essere creata con lo spazio, con il tempo, o con un muro, é molto semplice: la donna indossa la palandrana quando é in presenza di uomini che potrebbero potenzialmente mettere gli occhi su di lei con intenzioni becere tipo quella del matrimonio (inclusi i cugini). A ben vedere la separazione principale é molto flessibile, in realtà, e la responsabilità di tale separazione é demandata alle donne.
Il numero. La separazione tra uomini e donne abbassa ulteriormente la densità percepita in un Paese dove lo spazio, già di per sé, abbonda rispetto al numero di persone. Se le moschee, grazie alla tecnica di cui sopra dello “squeezing”, ospitano anche migliaia di persone – più siamo stretti e meglio é – il resto degli ambienti rimane pressoché vuoto. E quindi spazi sovrabbondanti ospitano spesso sparuti gruppi di persone – gruppi di donne OPPURE gruppi di uomini. Ciò ha comportato che io mi sia ritrovata spesso (e anche volentieri, a ben vedere) sola. Ovunque. Per la strada non cammina quasi nessuno, quindi io che voglio guardare la città, vedo molta sabbia ma poche persone. I mezzi pubblici mancano, quindi prendo il taxi e sono sola. Nel ristorante dell’hotel sono quasi sempre sola. Nella piscina femminile dell’hotel sono immancabilmente sola, tutta per me, un lusso sfrenato – la verità. Nella palestra dell’hotel, che farebbe invidia alla Virgin per quantità e specializzazione dei macchinari disponibili, sono sola di nuovo. Praticamente avrei fatto un vero e proprio ritiro spirituale dell’eremita, se con me non avessi avuto Moh a spiegarmi tutte queste cose.
Pubblico e privato. E infine torniamo a Edward T. Hall e alle teorie spaziali sulla separazione della sfera pubblica e di quella privata. Qui la privacy è un cosa seria. La gente è riservata – Moh impersona chiaramente l’eccezione che conferma la regola. C’è un limite fisico molto demarcato tra tutto quello che è privato e il resto. Il fuori e il dentro. Tutto ciò che avviene in pubblico, all’aperto, è compassato e tranquillo: poco rumore, poco movimento. Il comportamento é sorvegliato e irregimentato. Quello che succede dentro, oltre il muro, nello spazio privato della casa, è altro. É libero e sfrenato. Qui si fa casino, si beve alcol, si fuma, si balla, per restare a galla. La Saudi Aramco è un esempio a scala urbana di tutto questo. É chiusa come Guantanamo. Per entrare all’interno dell’area aziendale supero ogni giorno dei posti di blocco che fanno invidia alla frontiera tra Arabia e Bahrein. In effetti è praticamente uno stato nello stato. Con delle sue regole e delle sue libertà. Fino a 4 anni fa, racconta Moh, solo dentro Saudi Aramco donne e uomini lavoravano insieme. Solo dentro Aramco le donne potevano guidare. Solo dentro Aramco c’erano cinema e teatri.
Non a caso, Ithra, lo spazio polifunzionale di nuova concezione dove il nostro Joe si appresta a esibirsi, nasce proprio lì, stavolta a ponte tra pubblico e privato. Un interstizio.
Vero, Joe? C’è il bianco e c’è il nero. Il bianco delle palandrane maschili e quello nero delle palandrane femminili. “Crazy!” D’altronde é ovunque che gli opposti si attraggono. Buona vita Joe, a iniziare da questo importante spettacolo. E ti ringrazio per lo scambio di prospettive. Penso al fatto che tutte le persone con cui mi sono scambiata opinioni negli ultimi dieci giorni hanno finito per essere uomini e, per un attimo, se siamo nella favola, io sono un personaggio grigio. Sono un mix, l’equivalente del minotauro della mitologia Greca.
Moh mi accompagna a prendere un caffè arabo con datteri (OVVIO) prima di lasciare che il suo autista mi porti in aeroporto. Si fuma la shisha in questo bar, lo fanno sia uomini che donne, ma é un posto molto isolato anche se vista mare. Saliamo in macchina, io e lui nei sedili dietro e l’autista, ovviamente, al suo posto. É giunta l’ora di salutarsi, grazie Moh, sei stato di grande aiuto e mi hai guidata in questa esperienza. Dopo alcuni momenti di silenzio, insoliti per la parlantina di Moh, la macchina si ferma e lui si appresta a scendere: “I will miss you! We are friends now. You are a good person. And you are a good doc.”. In chiara retromarcia dal privato al pubblico, chiusi nell’abitacolo dell’auto, Moh mi stringe la mano, alla maniera maschile. Siamo nella sfumatura di grigio, tra il bianco e il nero, tra i pochi e i molti, tra l’uomo e la donna, tra il vicino e il lontano, tra essere soli ed essere in compagnia, tra il troppo e il nulla, tra il dolce e il salato, tra il giorno e la notte, tra il caldo e il freddo. Siamo nella mezza stagione. Nello spazio dell’amicizia, dove il bianco e il nero si presentano mischiati. Buona fortuna Moh, a iniziare da questo deserto fitto, dove mi auguro quest’affascinante sfumatura di grigio si espanda, anche a modo vostro, tipo a macchia di (petr)olio.
PS: Ripassando per Doha ho provato i carrelli, quelli dell’Esselunga (vedi Le mille e un’avventura – MILLEUNO. L’andata é andata). Avendo quattro ore di tempo da perdere mi è tornato comodo non portarmi il bagaglio a mano a spalla. Ho fatto però attenzione a camminare ben radente ai lati dei corridoi per non ostruire il passaggio di eventuali corridori.