Quando sei qui, poi, tutti sono mediamente gentili e accoglienti. Quando sei qui, in fondo, scopri che gli americani esistono per davvero, sono persone e non macchine, come ti hanno dato modo di sospettare in precedenza. Quando sei qui, alla fine, te ne dimentichi. Però hai faticato, e **aspettato**, parecchio per ottenere questo benedettissimo Visto. Ameeen.
Tutto comincia con una procedura che pare chiara e scorrevole. Compili un form online – il DS-160; paghi una tassa – la SEVIS; fai richiesta, sempre online, per un appuntamento con il console; ti presenti al suo cospetto con tutta la documentazione richiesta da una precisa lista della spesa. Taaac, fatto. Non puoi sbagliare. Semplice.
Poi inizi sul serio. Ti addentri nel primo form online. E rispondi a domande, poi ancora a domande, e in effetti anche ad altre domande. Queste domande continuano, andando a scavare nei meandri più oscuri e reconditi della tua banale vita. Chi è tuo padre, chi è tua madre, hai parenti in America, chi sono i tuoi mandanti dall’Italia, chi ti riceverà negli Stati Uniti, quanti soldi hai, chi viene in tuo soccorso se finisci i soldi, chi dobbiamo avvertire se ti succede qualcosa, ma soprattutto… Vuoi trasportare illegalmente organi negli States? Ovvio. Sei intenzionato a entrare in giri di prostituzione? Evidente. Pensi di stringere amicizia con i migliori trafficanti di droga sul posto? Senza dubbio. *How are you my friend?* Hai mica voglia di fare un attentato? Be’ in effetti, dopo tutte queste domande, un certo qual appetito di farti esplodere in giro ti viene, eh…
Quando finisci le risposte – perché non sapresti più rispondere “sì” nemmeno al tuo collega che ti chiede se hai voglia di un caffè, ti chiedono LA FOTO. Mica una foto qualunque: LA foto. 51×51 mm. In questo quadrato perfetto è inscritto l’ovale della tua faccia. Attonita. Questo ovale deve essere collocato a una distanza esatta di xx.93847 millimetri dal bordo superiore, xx.484757 millimetri da quello inferiore, xx.82747 millimetri dal lato sx e xx.71653 millimetri da quello dx. Il colore dello sfondo deve essere bianco. Ma non troppo. Le tue orecchie devono essere scoperte. Ma non troppo. La tua espressione deve emanare felicità, ma non troppo. La Monna Lisa in realtà si è rivolta a Da Vinci perché stava completando il form per il Visto USA. Poi Leo si è fatto prendere la mano e non ce l’ha fatta nei 51x51mm.
Finalmente paghi la tassa, nemmeno economica, e ti senti un po’ arrivato. Hai scollinato.
E aspetti il codice.
Giunto! Vai, chiedo appuntamento al console. Fai una nuova registrazione sul sito delle Ambasciate e Consolati americani in Italia. Ti appaiono i calendari di Milano, Firenze, Roma e Napoli. Ops, non c’è disponibilità a breve… Mannaggia io ho bisogno in fretta di questo Visto, il tempo stringe, dopo i 1647 giorni persi a ottenere tutta la documentazione richiesta in lista adesso devo sbrigarmi. Fortuna che c’è la procedura d’urgenza. Graaaandi, questi americani pensano proprio a tutto! Mandi la richiesta.
E aspetti la risposta.
Risposta: “Ci dispiace, non c’è disponibilità nel lasso di tempo richiesto.” Attaccati al tram. Perché il volo di sicuro non te lo fanno prendere, senza Visto. Vai al consolato a implorare pietà. Ti rimandano a casa. Cerchi di telefonare per parlare con qualcuno e spiegare le tue ragioni e la tua VERA urgenza. Ti risponde un nastro registrato che ti invita cortesemente ad attaccarti al tram. A quel punto mandi mail con avvisi di massima priorità, ricevute di spedizione, ricezione, lettura, andata e ritorno.
E aspetti la replica.
Ti scrivono delle lettere nere su fondo bianco: “Ci dispiace. Non sappiamo che cosa dirle.” Cosa??? Questa è una burla, io spacco tutto. Quindi non ti resta che rincollare in qualche modo i pezzi che hai spaccato.
E aspetti l’appuntamento col console.
Appuntamento che hai fissato nella prima data disponibile, ovviamente in una città a caso, non certo comoda a casa. Fai: Milano per un romano, Napoli per un milanese, Firenze per un veronese. Per dire.
Arriva il giorno. Con trepidazione giungi con qualche minuto di anticipo rispetto all’ora X nel posto Y. Ci sono dei poliziotti fuori che ti dicono di aspettare assieme a un monte di altre persone come te, lì all’aperto, in mezzo alla via/piazza/slargo che ti meriti. C’è freddo, batti i denti e aspetti. C’è caldo, sudi e aspetti. Piove, ti bagni e aspetti. C’è tiepido è una bella giornata e gli usignuoli ti allietano con il loro dolce canto, pensi poteva andare peggio, magari fare molto freddo, molto caldo, o piovere, ringrazi il caso.
E aspetti che succeda qualcosa.
Vi dividono in gruppi. E riaspetti che chiamino il tuo gruppo. Ti metti in fila per il controllo sicurezza. E aspetti che entrino tutti, uno alla volta. Ti controllano da capo a piedi, sai mai che ti è rimasta una forcina tra i capelli. Perché la borsa la lasci fuori, OVVIO, e porti con te solo i documenti. Però, è meglio se separiamo gli oggetti metallici e li estraiamo da questo grande, informe e potenzialmente pericoloso contenitore. Fuori cellulare, caricabatterie, qualunque elemento elettronico. Il laptop addirittura meglio se lo lasci proprio fuori dall’edificio. Via il cip per i codici della banca. Fuori le chiavi di casa. Estrai anche il tagliaunghie per le pellicine moleste (attenzione non la forbice, il tagliaunghie). Le forcine per i ciuffi ribelli… andale, raus. Tu e il tuo fascicolo di documenti entrate: due cuori e tanta speranza.
E aspetti che ti chiamino.
Ti presenti a un primo sportello dove un impiegato esamina il tuo fascicolo di documenti e ne scorpora la metà, che non serve (pur essendo in lista, ma vabbè…). Ti danno un numero.
E aspetti che esca il tuo numero.
Nel frattempo ti si presentano scene raccapriccianti. Tipo una tizia che si mette a piangere e urlare di felicità quando l’uomo del monte pronuncia il suo sì, tanto che il tale è costretto a richiamarla: “scusi, signorina, mica che ci devo ripensare forse!?!”. Tipo uno uomo distrutto dalla vita che si addormenta per un buon quarto d’ora. Sguardi persi nel vuoto, nella media. Perché in effetti che fai tutto quel tempo? Ti hanno tolto tutto. Su internet non puoi andare perché non hai supporti elettronici. La manicure non te la puoi fare. I capelli non li puoi acconciare. Non puoi nemmeno guardare l’ora, a meno che tu non abbia un orologio da polso non digitale. Tanto a che ti serve controllare un tempo indefinito che ti sembrerà comunque tendente all’eternità?
E aspetti il tuo turno.
Poi il console ti chiama. Ciao, come stai? Sei contento di andare negli Stati Uniti? Tu sei oramai lobotomizzato, hai la testa che ti ciondola e fai sì a tutto. Toglietemi tutto, ma non la possibilità di ottenere il mio Visto. Sei straniero e richiedi il Visto dall’Italia? Sei un tipo quanto meno sospetto. Niente Visto. Vuoi trattenerti per un tempo lungo, ma non sai bene cosa farai là? Non hai ragioni per andare. Niente Visto. Non parli l’inglese decentemente? Non puoi sopravvivere. Niente Visto. “M’ama non m’ama” è un gioco meno ansiogeno. Una carneficina. E aspetti, aspetti… Vai per motivi di studio? Ah Cornell University! Bello! Certo, fa freddo laggiù! Ok, allora ricevi il Visto tra due-tre giorni. Ma quando parti? Ah, hai urgenza? Ora vedo cosa possiamo fare. Se riusciamo a dartelo in giornata, ti telefoniamo. Tu, ASPETTA!
In fondo, che cos’è il Visto per gli Stati Uniti, se non l’attesa stessa del Visto?
*Good night, and good luck!*